La psicoterapia è per tutti

13.05.2020

Parto dal presupposto che nella quotidianità dell'esistenza siamo tutti, in maniera maggiore o minore, nevrotici. Sebbene di tanto in tanto ed in maniera accidentale possa farci visita una qualche forma di satori (insight, o epifania che dir si voglia), umanamente ricadiamo nelle dinamiche relazionali conosciute, dove ci ritroviamo a ricoprire sempre lo stesso ruolo (la vittima, il carnefice, una via di mezzo che non è né uno né l'altro, e al tempo stesso entrambi, la crocerossina, il pacificatore, il capo che prende in mano la situazione, eccetera...) poiché incastrati nel nostro carattere. La nevrosi è proprio l'aspetto del carattere che ci rende 'schiavi' dell'esistenza e ci allontana dal viverla pienamente. E così, in base al carattere che avete (e non che 'siete'! Meglio appuntarsi questa distinzione), dentro di voi ha sicuramente riecheggiato una risposta alla frase volutamente provocatoria con cui ho aperto l'articolo: "Chi? Io? Nevrotico? Ma saranno nevrotici gli altri" si indignò chi attraversa l'esistenza proiettando sé stesso sul mondo; "Ma sì, ma siamo tutti un po' nevrotici, è normale, che male c'è" avrà cantilenato chi naviga nei mari della confluenza; "Sarò anche un po' nevrotico, gli altri però lo sono di più...ma io sono superiore, e li lascio nel loro brodo" pensò l'egotista crogiolandosi nel suo così appagante auto-convincimento. Avete appena letto tre esempi di come possiamo essere schiavi del nostro carattere: accorgersi di questi automatismi è il primo passo verso il cambiamento. 

Siamo allora tutti matti? Sì. No. Siamo Esseri Umani che per un istinto di sopravvivenza relazionale abbiamo passato anni o a volte, tristemente, intere esistenze ricalcando sempre le stesse orme dello stesso sentiero. Uscire dal seminato e muovere il primo passo verso il cambiamento è spaventoso, è spaventoso abbandonare il conosciuto e tutti quei fastidi, problemi e disagi che porta con sé, poiché sì sono fastidi, problemi, dolori, disagi, fatiche, ma sono conosciuti e questo dolore racchiude in sé stesso (nel suo essere conosciuto) anche l'antidoto, un palliativo rassicurante. 

Ho scelto questo giorno, il 13 maggio, anniversario della Legge 180, promulgata da Franco Basaglia e dai sostenitori dell'antipsichiatria italiana, per sostenere proprio questo messaggio: non ci sono 'sani' e 'malati', non ci sono 'pazzi' e 'normali'; ci sono persone che come possono attraversano l'esistenza e che desiderano essere viste, accolte, guardate, non giudicate. Ci sono persone che portano con sé un dolore, grande o piccolo, sopportabile, opprimente, dimenticato dalla mente ma non dal corpo, oppure rivissuto ogni giorno con forte intensità. Allora ritorno al titolo dell'articolo e mi chiedo: la psicoterapia è per tutti? La risposta è NO. Non tutti sono pronti a prendersi la responsabilità delle proprie azioni e parole, nonché delle proprie vite. Non tutti sono pronti ad abbandonare il piedistallo narcisistico dove per anni hanno celebrato le loro nevrotiche vittorie, non tutti sono pronti a sentirsi dire che in ciò che gli accade c'è una buona dose di responsabilità individuale e che 'gli altri' sono (molto più spesso di quanto immaginiamo) specchio di noi stessi; non tutti sono pronti a sospendere il giudizio su sé stessi e sugli altri. Queste persone continueranno ad essere per sé stesse motore del proprio dolore ed infelicità. La psicoterapia è per tutti coloro che sentono con fervore il bisogno di un cambiamento nella propria vita. La psicoterapia è cura dell'anima, non del sintomo; è prendersi cura, è un processo che si può apprendere e integrare nell'esistenza. Una volta all'università feci infuriare un professore quando alla sua domanda "In che cosa consiste la nostra professione di psicologo?" risposi "Fare in modo che un giorno le persone non debbano più avere bisogno di noi". 


Vorrei concludere raccontando che cosa è stato per me l'incontro con la Psicoterapia della Gestalt fenomenologico-esistenziale; è stato, spiritualmente ed emotivamente, come partorire me stessa. I primi tempi mi sono sentita accolta, benvenuta, protetta; poi c'è stato un lungo e doloroso travaglio interiore fatto di smarrimento, paura, e al tempo stesso connotato da un fortissimo senso di inevitabilità, lo stesso che prova un bambino quando è stretto nel canale del parto e oramai non può più tornare indietro al tepore conosciuto, può andare solo avanti, verso un cambiamento di stato esistenziale; per me incontrare la psicoterapia è stato come re-imparare a masticare e deglutire i pezzetti di cibo, solo il cibo che ha un buon sapore, a gattonare e lentamente rialzarmi sui miei piedi, muovendo passi incerti nel mondo, esplorando per poi richiudermi in me stessa domandandomi se quell'esperienza per me fosse stata buona o cattiva.  E' stato come iniziare il viaggio più bello della mia vita perché ad ogni tappa bella o brutta ho incontrato me stessa come Essere Umano, grazie al contatto vero con un altro Essere Umano. Il viaggio continua ogni giorno.